Il nostro Festival
Davide Camarrone
Migra per sua stessa natura, la parola. Da una voce ad un orecchio, dalle dita pulsanti su una tastiera allo sguardo del lettore. Da un tempo e da un luogo ad altri. Muta continuamente il senso di ciò che è detto e scritto. E le letterature non possono più esser stese soltanto sulle morbide pagine dei libri. Riescono ad artigliare il nostro pensiero e la realtà muovendo da altri supporti. Entrano in relazione con altre forme espressive. Tante letterature e tutte migranti.
E poi, c’è il tempo. Ci siamo concentrati sui luoghi del cambiamento e abbiamo trascurato il tempo in cui il cambiamento modifica i nostri luoghi, contesti della nostra esistenza. Fino a non molto tempo fa, il cambiamento si misurava in ere, e ciascuna era richiedeva più vite: secoli, millenni. C’era tutto il tempo di comprendere e spiegare. Il racconto del cambiamento si delegava alle successive generazioni. La comprensione era ricca di smemoratezze e semplificazioni.
Oggi, nell’arco di una vita si succedono più e più cambiamenti radicali. L’orizzonte si modifica continuamente dinanzi ai nostri occhi. L’usura del sapere è incalzante, e lo sgomento è l’esito immediato di ogni rivoluzione. Non comprendiamo più il mondo. La paura del nuovo ci rende diffidenti. Le Letterature ci aiutano a capire. In questo nostro tempo tumultuoso, le Letterature inducono alla comprensione.
La terza edizione di questo Festival, che dice di tante Letterature, delle migrazioni delle persone e delle idee, delle lingue e delle culture, ha un programma di incontri denso e ricchissimo. Al quale si è lavorato a lungo. Il Comitato di direzione del Festival, pure al di là delle singole curatele, ha condiviso un percorso entusiasmante.
Abbiamo scelto di dare vita non ad un programma di novità letterarie bensì ad una sorta di cifrario, di canone interpretativo del nostro tempo. Un canone lungo un anno e rammentabile, in futuro.
Cinquanta libri, più o meno, giudicati essenziali alla comprensione del presente, non necessariamente recenti, e di altrettanti autori, non necessariamente ancora in vita. Tra le otto sezioni che scandiscono il programma d’incontri letterari, ve ne è infatti una trasversale: in absentia dell’autore. I libri sono troppo importanti per legarne la vita a quella dell’autore: la loro capacità significante va ben oltre l’arco di un’esistenza.
Sette sezioni, conta questo canone.
Alfabeti. Lost (and found) in Translation. Palermo a pezzi. Terre perse. Meticciati. Come stare al mondo. Variazioni e Fughe. Dialoghi.
Per dire della complessità, della transizione di senso, dell’elezione di Palermo a strumento interpretativo del presente (ciò che è complesso aiuta a comprendere ciò che è ancora più complesso). Per dire di ciò che resta del passato nel presente, del meticciamento di culture, delle libertà e dei diritti. Di infinite variazioni e vie di fuga. Del dialogo.
Con alcuni temi forti. Tre, più di altri, direi. Il populismo, che è trasversale a culture politiche differenti e oggi avvertiamo come il più acuto esito della paura dinanzi al cambiamento. Il fondamentalismo culturale, che è forse il corrispettivo dialettico del populismo dei nostri tempi. Le traduzioni, che dicono di un tessuto comune tra le culture.
Alle Letterature della parola scritta, abbiamo accostato i linguaggi dell’arte contemporanea (pure in dialogo con l’arte classica, e in numerosi luoghi deputati, a Palermo), della musica, del cinema e del teatro. Abbiamo lavorato ad una relazione tra i luoghi e tra linguaggi espressivi differenti, in quei luoghi: sottraendo specialismi e aggiungendo contaminazioni.
All’editoria nazionale abbiamo accostato l’editoria locale, che nel luogo del cambiamento, assume nuova centralità: poiché la periferia è centro del cambiamento, e Palermo è al centro esatto del mare di mezzo, il Mediterraneo.
Un Festival orizzontale, nel quale diverse istituzioni, a cominciare dal Comune di Palermo – primo promotore dell’iniziativa, insieme all’Associazione Festival delle Letterature migranti -, hanno collaborato al medesimo progetto, ciascuna recando pensiero e iniziative: con un cuore pulsante, piazza Bellini, sul limitare dell’antica Giudecca. In una città che è plurale e che, in questa occasione, ha voluto intitolare il suo luogo più antico, il suo approdo, “Lungomare delle migrazioni”. Coincidendo, la storia di questa città, con il suo porto, luogo d’incontro e di relazione e privilegiato punto di osservazione al centro del Mediterraneo, per un’identità migrante di Palermo e dei suoi abitanti: tornati oggi a popolare strade e vicoli, a colorarli, a inondarli di lingue nuove e antiche.
Far pace col mare, e assumere le migrazioni quale elemento fondante delle nostre identità, ha fatto di Palermo un luogo nuovamente luminoso, ospitale, ricco di speranze. Il porto della Cala è ragione e simbolo di un processo di crescita culturale, e per questa ragione, è al centro della campagna di comunicazione di quest’edizione del Festival.
Il rifiuto delle migrazioni, la chiusura dinanzi ai popoli migranti, è per noi il passato, quando demmo le spalle al mare. Proviamo a comprendere ciò che sta accadendo, a dissentire dalla chiusura, dal rifiuto del tempo che stiamo vivendo, a proporre un’altra visione del mondo.
Troverete, nella cassa armonica di quel liuto che è la Cala, l’incipit della Costituzione americana. We the people: preambolo di un documento importante, oggi più che mai, per i gravi rischi connessi all’ondata populista. A significare che l’antidoto al populismo è il popolo.
Questo programma è introdotto dall’immagine di un’antica metopa selinuntina conservata nel rinato Museo archeologico Salinas, partner del Festival.
La pietra racconta il Mito del Ratto di Europa, essendo probabilmente tra le più antiche raffigurazione ancora visibili di Europa. Figlia di un re, Agenore, e sorella di Cadmo, Europa viveva a Tiro, in terra fenicia. In Nord Africa, insomma. L’odierna Tunisia. Racconta, il Mito, che Zeus si sia innamorato di Europa scorgendola per caso, sulla spiaggia, mentre giocava con altre giovinette. Si trasformò – Zeus – in toro: un grande toro bianco. Capace di volare. E fu in volo che condusse Europa a Creta, solcando il grande mare. Da Zeus ed Europa, nacquero Minosse e Radamante. Minosse fu il fondatore della civiltà minoica: la prima europea a darsi una scrittura.
I greci chiamarono Europa il continente che stava a Nord di Creta. L’intero loro orizzonte: il luogo della civiltà ellenica. Europa significava occhio, ampio sguardo, e la libertà è conoscenza.
Sono passati tanti anni – e non di questo mondo -, dal volo che unì Africa ed Europa: che dall’Africa fece nascere Europa. Noi dimentichiamo di frequente le nostre origini. Crediamo che le nuove migrazioni siano un pericolo per il nostro spazio. Ma il tema non è lo spazio: è il tempo, è la comprensione di questo nostro tempo.
Abbiamo smesso di considerare le migrazioni come un semplice evento, un fenomeno, un processo. Le migrazioni sono divenute un criterio interpretativo del Contemporaneo. E condivisione, altro termine decisivo, è esso stesso una forma di migrazione.
Accanto a questa molteplicità di segni, resterà un patrimonio consistente nella condivisione del percorso che ha condotto al Festival. Nel programma, citeremo una per una le tante istituzioni e organizzazioni che hanno collaborato: i promotori, i patrocinatori, i partner, i media e i social partner, gli sponsor: anch’essi partner, con una funzione creativa. Diremo dei luoghi del sapere, dell’università e delle scuole, dei teatri e dei musei. Diremo della squadra che ha definito il programma, del Comitato Scientifico e del team organizzativo, dei volontari e delle associazioni all’opera, degli studenti e dei tirocinanti.
Guardiamo a quest’edizione del Festival, la sua terza, pure come ad un traguardo decisivo. E guardiamo al 2018, quando Palermo sarà Capitale della Cultura. Siamo già al lavoro. Con tutti voi.