Caro Diario, è Sabato
Caro Diario, è sabato e stiamo per arrivare a destinazione, e sappiamo benissimo che come per ogni viaggio, avremo subito voglia di partire di nuovo.
La veleggiata di sabato mattina, con un vento basso e tenue di scirocco, il cielo a tratti fosco e a tratti brillante, il mare che si arruffava quel poco che basta, è stata emozionante. Saranno state le parole, sarà stato l’amore degli amici della Lega Navale Palermo Centro, saranno stati i volti sorridenti dei ragazzi del Centro Astalli, e l’istintivo confronto tra quella minuscola e simbolica traversata e ben altri viaggi. Chi sa dirlo?
Tornare a terra non ci è costato fatica solo perché sapevamo di tornare incontro a un’altra giornata di passi, di riflessioni, di bellezza.
Al Museo Pasqualino – che è già “normalmente” un luogo magico, di storia e storie e poesia e teatro – andate a trovare le Anime in Movimento di Matilde Gagliardo: ritratti vibranti, racconti di un luogo che non ha geografia né spazio ma che vi resterà dentro, e non perdetevi nemmeno un fotogramma degli scatti di “Lybia, the captain and me” raccontro fotografico a due voci che diventano, nell’allestimento, tre anzi quattro anzi un coro di parole, paesaggi, luci, ombre.
Con queste immagini addosso siamo passati a Palazzo Steri per un tavolo sull’editoria. L’ennesimo, direte: beh sì, perché l’editoria, come hanno notato, è più che un filtro, l’editoria è il ponte senza il quale nessuno scrittore potrebbe davvero raggiungere i suoi lettori. E questo vale, ovviamente, non ostante (e certe volte anche “grazie a…”) il web.
Si parlava, fra l’altro di scrittura di genere, di scrittura meticcia, di registri misti. Ci colpivano le parole di Chiara Valerio: “Io sono ovviamente meticcia, a partire dal fatto che scrivo anche se provengo da studi scientifici. Ma: se un libro è il vino, chi potrebbe rintracciare l’esatta origine degli acini che sono stati usati? La letteratura rompe la linea del tempo e mischia tutto quanto, distinguere scrittura italiana da scrittura straniera non è letteratura: è marketing”
Nel pomeriggio infatti, a Giurisprudenza, al tavolo dedicato alla scrittrice e attivista Fatima Mernissi, Igiaba Scego e Raja Rhouni parlavano con Marta Bellingreri, non di scrittura femminile, come ci saremmo aspettati ma di “metodo” rintracciando, nel lavoro dell’autrice, una prospettiva rovesciata “Ribaltare lo sguardo, spostare l’asse e scrivere storie “da” più voci. Questo ha una tradizione femminile: parliamo di trama riferendoci al lavoro di tessitura e cucito, un tempo riservato alle donne e che dava loro spazio per la conversazione, ma il bello della trama è che accoglie più fili nel suo intreccio” Il lato rivoluzionario di un certo genere di scrittura è legato alla necessità di superare un confine, di superare un limite, in questo sì, c’è una forza femminile, le donne trasferiscono nella scrittura la forza necessaria per superare se stesse e i limiti socialmente imposti:”Il corpo delle donne è come le città coloniali, pieno di limiti, di luoghi da proteggere e in cui non bisogna entrare. Così quando una donna scrive lo fa esprimendo questi limiti e superando queste soglie in una narrativa che proviene dal femminile ma non è necessariamente femmina” così sintetizzava Igiaba Scego.
A proposito di metodo e di limiti, sociali e politici, a Palazzo delle Aquile a confronto due esperienze di satira straordinarie: Piergiorgio Paterlini, di Cuore – settimanale di resistenza umana pubblicato negli anni ‘89/’96: “Non lo abbiamo chiamato rivista o giornale: volutamente era uno strumento di resistenza che non mirava solo alla politica ma a tutto un sistema sociale e ambientale in cui non si salvava nessuno, perché in quegli anni, gli anni del crollo del muro di Berlino, del craxismo, dell’avvento di Berlusconi, la politica era l’espressione di un sistema in cui anche senza prendere la mira si colpiva” – dialogava con Omar Khouri, editore di Samandal, prima rivista satirica libanese:”Il potere teme la satira da sempre, Samandal non è solo satira eppure lo stesso ha dei problemi con l’autorità che spesso legge nel nostro lavoro elementi che non avevamo nemmeno immaginato. Il Libano non ha una dittatura e per questo ha fama di terra libera ma è un’illusione, in realtà è un paese fortemente controllato”
Anche all’Arci PorcoRosso si parlava di controllo, a Ballarò però il controllo non è certo quello dell’Ordine Costituito. “Per questo siamo orgogliosi di essere quì a parlare di integrazione e convivenza. Questo è un luogo che ha visto violenza, rapine, paura e adesso teniamo la porta aperta. Quì il lavoro con gli amici migranti ha dato un’opportunità reale di cambiamento”. Pluralità, resistenza alla mafia, convivenza civile pur nelle differenze di nazionalità e sopratutto di cultura.
Sulla difficoltà di queste differenze poneva l’accento anche Luigi Manconi, parlamentare e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato.
“La democrazia prevede l’incontro di due istanze: quella dell’individuo e quella della comunità. Ma la comunità, il corpo sociale, non è altro che l’insieme di corpi individuali. Quando l’individuo non trova risposta nella rappresentanza nasce un inevitabile conflitto. Oggi accade spesso che gli individui non siano, o non si sentano, correttamente rappresentati, si sviluppa così un’esasperazione dell’esigenza di partecipazione che, in contesti multiculturali, andrebbe mediata”
E ancora, rilevava la difficoltà di mediazione che non è solo tra culture diverse ma è già presente a livello nazionale:
“A proposito del referendum, senza entrare nel merito, non posso essere ottimista: il referendum rappresenta esattamente la rottura di un equilibrio, quello che dovrebbe esistere tra le due fondamentali istanze della democrazia, quella partecipativa e quella rappresentativa, dove questo equilibrio salta – e in Italia è successo – nasce la necessità di un referendum, che certamente è una risposta ma è un po’ – da parte di chi ci dovrebbe rappresentare – un cedimento, un’ammissione di colpa e di difficoltà a esprimere il proprio ruolo”
Il teatro Santa Cecilia ci ha regalato poi una serata piena di nostalgia e di poesia nel ricordo di Gianmaria Testa, evocato dalla sua musica, dalle parole della moglie, Paola Farinetti, con Marco Aime, Ernesto Franco e Gianmauro Costa e infine con le letture di Giuseppe Cederna. Paola Farinetti ha raccontato di quanto il cantautore, sentisse forte la responsabilità, sia del microfono sia della scrittura. Di come “Da questa parte del mare” sia stato un racconto sofferto eppure un’esperienza di vita e di narrazione potente.
Ci è tornata in mente Lampedusa, con le tante storie e questo mare indicibile.
Il Mediterraneo non è solo geografia – e il pensiero veleggiava a ritroso, alla nostra mattinata tra le vele.
“Oggi per disegnare questo cielo qualcuno ha preso i colori , del mare, della pelle e dell’anima e li ha mischiati in un solo colore”. (FC)